In qualche maniera anche frequentare un Festival è una forma d'esilio, seppur molto diverso dalle storie di dislocazione, abbandono e fuga (dal proprio Paese, da sé, dagli altri) che abbiamo visto in scena in questi giorni. Andando a teatro si abbandonano temporaneamente le proprie case, abitudini e certezze, si mettono in sospeso le proprie vite, ci si sposta altrove, aperti ad accogliere un'alterità che – per fortuna – non corrisponde mai esattamente a ciò che ci si aspettava.
In uno spazio e in un tempo in cui la critica si fa online, non importa se in viaggio o dal salotto, comunque in solitaria, è preziosa l'opportunità di lavorare (e vivere) in una redazione, anche solo per dieci giorni. Alla concentrazione si sostituiscono eco di visioni altrui, il silenzio del pensiero individuale fa spazio a intrecci di voci, la scrittura diventa montaggio in tempo reale, sempre porosa e fluida, di un'intensità sorprendente che talvolta si dimentica nella routine quotidiana.
Sotto il segno del ROT, sono innumerevoli gli artisti, i lavori, i discorsi che invitano a guardare oltre i confini, a sfondare le barriere, a occupare uno spazio terzo e nuovo fra ciò che conosciamo e ciò che per ora possiamo soltanto immaginare. Forse è così anche nel nostro workshop, collocato anch'esso in una zona intermedia fra ciò che è e ciò che sarà. E, allora, viene da chiedersi anche da parte nostra: quali sono i limiti che la critica può mettere in discussione, attraversare, superare nella pratica di visione, analisi e scrittura? Iniziando già oggi, come e con gli artisti, gli operatori, gli spettatori, a provare a costruire insieme un mondo altro e diverso, anche se solo in teatro.
Roberta Ferraresi