Di primo acchito il soggetto di Daïnah la métisse, il pretesto, non ha nulla che possa destare preoccupazione nei produttori; ma per come è stato concepito dal suo autore insieme allo sceneggiatore Charles Spaak, il film intende farsi portavoce di un obiettivo che va ben oltre il mero racconto di un melodramma incentrato sulla gelosia razziale e sull’esotismo secondo la moda dei tempi. Si tratta di ritrarre una “marina”, per utilizzare un termine abituale in pittura, un transatlantico di lusso in navigazione verso lidi remoti, la mitezza dei mari del Sud, la notte e il contrasto tra le stive arroventate e i grandi saloni nei quali i privilegiati conducono un’esistenza ignara delle misere passioni umane, si fondono sulle note sincopate del jazz, nella composizione di una sorta di poema più che di un’opera squisitamente drammatica. L’audacia è tangibile e cammina di pari passo con i campi lunghi del mare di notte, il furto di una sciarpa bianca che simboleggia un inconfessabile crimine passionale, l’utilizzo di maschere surreali in uno spettacolo di magia dominato dalla presenza di un pugnale e dall’uccisione di una colomba. Ancora una volta, distributori e produttori detesteranno un’opera che sarà rimontata, fatta a pezzi e ridotta a meno di un’ora di proiezione.
Per comprendere meglio le difficoltà dei grandi registi francesi dell’epoca nel creare le loro opere nei primi anni del sonoro verranno presentate in anteprima mondiale le rushes di Zéro de conduite (1933, 15’) di Jean Vigo, affascinanti immagini ritrovate (con Vigo sul set), che permettono di scoprire nuovi dettagli di un’altra opera pesantemente influenzata dalle preoccupazioni della produzione.