Il lavoro di centinaia di partecipanti non può qui essere esaminato nella sua totalità, ma ecco un’anteprima.
Le Corderie si aprono con un dato crudo: mentre le temperature globali aumentano, la popolazione mondiale inizierà a diminuire. È questa la realtà che gli architetti devono affrontare nell’età dell’adattamento. Partendo da qui, i visitatori attraverseranno tre mondi tematici: Natural Intelligence, Artificial Intelligence e Collective Intelligence. La mostra culmina quindi nella sezione Out con una domanda: possiamo guardare allo spazio come una soluzione alle crisi che affrontiamo sulla Terra? La nostra risposta è no: l’esplorazione dello spazio non è una via di fuga, ma un mezzo per migliorare la vita qui, nell’unica casa che conosciamo.
Ogni sezione è concepita come uno spazio modulare e frattale, un organismo che collega progetti su larga e piccola scala creando una rete di dialogo. Il progetto espositivo dello studio di architettura e design Sub, diretto da Niklas Bildstein Zaar e il design grafico di Bänziger Hug Kasper Florio rispecchiano l’interconnessione di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Ulteriori strati digitali amplificano ed espandono le conversazioni, aggiungendo una nuova dimensione alla Mostra.
Le domande introduttive sono semplici ma urgenti. Come sarà il clima di domani? In che modo le popolazioni in movimento trasformeranno il mondo? Il primo progetto nasce dalla ricerca di Sonia Seneviratne e David Bresch, tra i principali scienziati del clima. Frutto della collaborazione con la Fondazione Cittadellarte Onlus dell’artista Michelangelo Pistoletto, con gli ingegneri climatici tedeschi Transsolar e con lo storico dell’ambiente Daniel A. Barber, il lavoro sfocia in inondazioni artificiali e vortici d’aria rovente.
The Other Side of the Hill scava più a fondo nel nostro futuro demografico globale, esplorando le comunità microbiche che bilanciano il consumo di risorse. Cosa succede quando la crescita della popolazione raggiunge un picco per poi crollare? Il progetto, guidato dal fisico Geoffrey West, dal biologo Roberto Kolter e dai teorici dell’architettura Beatriz Colomina e Mark Wigley, ci chiede di ripensare i principi fondamentali della vita sulla Terra. La designer Patricia Urquiola trasla tale visione nello spazio, fondendo matematica e design.
Nella sezione Natural Intelligence, il progetto Living Structure offre una risposta alla domanda su cosa significhi veramente costruire con la natura. Condotto da Kengo Kuma And Associates, da Sekisui House – Kuma Lab & Iwasawa Lab (entrambi dell’Università di Tokyo) e da Ejiri Structural Engineers, il progetto esplora come le tecniche di falegnameria giapponesi, fuse con l’intelligenza artificiale, possano trasformare il legno irregolare in materiale strutturale. Il futuro è legato tanto al rispetto per la natura quanto all’innovazione tecnologica.
In Matter Makes Sense, esploriamo il futuro delle costruzioni: biocalcestruzzo, fibra di banana, grafene e altro ancora. In questo progetto di archiviazione dei materiali, i professori Ingrid Paoletti e Stefano Capolongo, il premio Nobel Konstantin Novosëlov e la scenografa Margherita Palli Rota uniscono le forze per mostrarci come l’innovazione dei materiali possa cambiare le fondamenta stesse dell’architettura. Portando alla Biennale Architettura decine di esperimenti da tutto il mondo, ci mostrano una possibile strada per il futuro, ricostruita a livello molecolare ed ecologico.
Pur sognando nuovi materiali, dobbiamo fare i conti con i rifiuti di oggi. Il Manifesto di Economia Circolare della Biennale Architettura, sviluppato con la guida di Arup e il contributo di Ellen MacArthur Foundation, definisce obiettivi ambiziosi per la riduzione degli scarti e la promozione del riutilizzo dei materiali proprio nella stessa Biennale Architettura. Queste ambizioni saranno ulteriormente supportate da un manuale di ricerca prodotto tra Cina e Italia da Archi-Neering-Design/AND Office, Massimiliano Condotta e Valeria Tatano della Università IUAV di Venezia, Jin Arts, Pills, Róng Design Library e Typo-D.
Forse la Mostra 2025 non sarà perfetta, ma vuole dare il buon esempio. La maggior parte dei pannelli espositivi sono realizzati in legno riciclato che sarà poi triturato al termine della Biennale Architettura e trasformato in nuovi materiali. Progetti come Elephant Chapel di Boonserm Premthada, che utilizza sterco di elefante per creare mattoni, ridefiniscono ciò che è possibile trasformando i rifiuti della natura in una risorsa per l’edilizia.
Entrando nella sezione Artificial Intelligence, la Mostra estende il concetto di “artificiale” al di là dei modelli linguistici di grandi dimensioni. Robotica, ingegneria e scienza dei dati convergono per mostrarci come la tecnologia può influenzare il nostro ambiente costruito e i nostri sistemi sociali. Ricercatori di un gruppo di università internazionali – tra cui il professore Philip Yuan della Tongji University e Gramazio Kohler Research del Politecnico di Zurigo insieme a MESH e Studio Armin Linke – utilizzano robot antropomorfi di nuova generazione per esplorare il futuro dell’edilizia, sollevando questioni fondamentali sull’evoluzione del ruolo del lavoro umano.
Nel frattempo, in Ucraina, ricercatori come Kateryna Lopatiuk, Herman Mitish, Roman Puchko, Oleksandr Sirous e Orest Yaremchuk utilizzano la computer vision per mappare e ricostruire le città distrutte dalla guerra. È un inquietante promemoria del fatto che la tecnologia non è neutrale: può essere uno strumento positivo o di distruzione. Agli occhi di chi sogna la pace, diventa uno mezzo di ricostruzione.
La sezione Collective Intelligence sposta la nostra attenzione sulla costruzione e sull’apprendimento attraverso la saggezza collettiva. Dalle favelas di Rio ai campi profughi del Bangladesh, dalle cittadine cinesi ai vivaci mercati di Lagos, gli ecosistemi urbani offrono intuizioni profonde su come le economie materiali e le reti sociali procedano insieme. La ricerca di Tosin Oshinowo sui mercati informali mostra come proprio ai margini fiorisca un ingegno costruttivo collettivo.
Per raccogliere molte voci provenienti da ogni angolo del mondo, la sezione Collective presenta uno Speakers’ Corner, una piattaforma fisica progettata da Christopher Hawthorne, Johnston Marklee e Florencia Rodriguez. Il progetto si erge al di sopra della Mostra, fisicamente e metaforicamente, diventando un luogo per ospitare panel, workshop e discussioni.
Infine Out, la sezione conclusiva, aperta da Oxyville, una struttura sonora a 360° realizzata dal compositore Jean-Michel Jarre in collaborazione con Antoine Picon e Maria Grazia Mattei – Meet Digital Culture Center Milano. Una volta Fuori, cerchiamo ispirazione al di là del nostro fragile pianeta. Un progetto di Jeronimo Ezquerro, Charles Kim, Stephanie Rae Lloyd, Sam Sheffer, Emma Sheffer ed Emily Wissemann, ispirato alle tute spaziali degli astronauti, ripensa a come migliorare le tecniche di costruzione e isolamento degli edifici sulla Terra.
Martin Rees, Astronomer Royal d’Inghilterra, nel saggio scritto per il catalogo ci ricorda che l’esplorazione spaziale non può essere una salvezza. Anche le regioni più abitabili al di fuori della Terra sono mille volte più ostili degli ambienti più estremi del nostro pianeta. Invece di fuggire verso le stelle, dobbiamo concentrare la nostra intelligenza per adattarci qui, sulla Terra.