Il 18 aprile 2015, nel canale di Sicilia, avvenne il naufragio più tragico nella storia del Mediterraneo, a 96 chilometri dalla costa libica e a 193 chilometri a sud di Lampedusa. Vi furono solo 28 superstiti e vennero date per disperse tra le 700 e le 1100 persone.
Il peschereccio – acquistato da trafficanti libici – era carico di centinaia di migranti, quasi tutti rinchiusi nella stiva e nella sala macchine, quando si scontrò con un mercantile portoghese che stava tentando di soccorrerlo. La barca affondò per l’incompetenza del capitano, trascinando negli abissi quasi tutto il suo carico umano.
Dopo la tragedia, il governo italiano decise di recuperare il relitto ed esaminare i resti delle vittime, per stabilirne l’identità e consentire alle autorità di informare le famiglie. Il 30 giugno 2016, la Marina Militare italiana recuperò il peschereccio dal fondale per trasportarlo alla base navale di Melilli, dove ebbero inizio l’estrazione e l’identificazione dei corpi ancora imprigionati. Nell’ottobre del 2016, Matteo Renzi propose di portare il relitto a Bruxelles e invitò l’Europa ad assumersi la responsabilità dello “scandalo di una migrazione” in modo che non si ripetessero più simili tragedie. Nel maggio del 2018, a Palermo, un’iniziativa a sostegno dei migranti lanciò una petizione proponendo un corteo con il relitto, come un cavallo di Troia che avrebbe valicato i confini nazionali europei lottando in favore del diritto umano alla libera circolazione.
Barca Nostra, un monumento collettivo e commemorativo alla migrazione contemporanea, non è dedicato solo alle vittime e alle persone coinvolte nel suo recupero, ma rappresenta anche le politiche collettive che causano questo tipo di tragedie.