L’opera di Noah Davis osserva la vita contemporanea afroamericana attraverso una lente peculiare, incisiva, e spesso melanconica. Richiamando una generazione precedente di artisti americani, come Fairfield Porter, Jacob Lawrence e Palmer Hayden, la sua opera è parimenti influenzata dalla figurazione di Marlene Dumas e Luc Tuymans. Isis (2009) ritrae la moglie di Davis, Karon, in un costume dorato, con due grandi ventagli dispiegati come ali, nelle vesti della dea egizia della magia. The Conductor (2014) è parte di una serie dedicata a un quartiere a basso reddito come Pueblo del Rio, città giardino edificata a Los Angeles, e raffigura un uomo in smoking che dirige un’orchestra invisibile, sconfinando nuovamente nel surreale. Lo sguardo acuto di Davis si rivolge alla storia in 40 Acres and a Unicorn (2007), in riferimento ai “quaranta acri e un mulo” che si diceva sarebbero stati assegnati alle famiglie dei neri una volta liberati alla fine della Guerra civile americana; con l’ironia del Realismo Magico, evoca l’amara delusione di fronte agli sforzi del governo statunitense volti a fornire manodopera salariata alle piantagioni piuttosto che ai diritto dei neri. L’uomo ritratto in The Future’s Future (2010) è connesso a una sorta di simulatore di realtà virtuale, circondato da piante verdeggianti che paiono proiezioni da un regno digitale. Seppure tragicamente breve, la carriera artistica di Davis lascia opere che testimoniano un approccio in cui la pittura è una porta che si affaccia sulla memoria, sulla storia e su mondi che trascendono quello in cui viviamo.
Ian Wallace