Portatrice di una moderna idea di classicità, la pittura di Mario Tozzi si sviluppa in un dialogo costante tra l’Italia e la Francia. Nel 1932, in occasione della XVII Biennale d’Arte di Venezia, viene esposta l’opera Il pittore (1931) di Tozzi. Il dipinto – appartenuto alla collezione Margherita Sarfatti, teorica del movimento Novecento – si caratterizza per i rimandi simbolici, che descrivono un assetto visuale in cui la volumetria delle forme detiene in sé un ordine puramente intellettuale. L’intera composizione visiva presenta un marcato rigore strutturale, dettato da una netta scansione delle ombre e dei piani che limitano lo spazio fisico a favore di un’apertura esclusivamente mentale. La presenza del triangolo enfatizza la geometrizzazione della scena, che sembra poter accogliere una prossima condizione di vita nascente. L’ombra del chiodo è l’attesa di un accadimento, come l’imminente azione pittorica a cui si accinge il pittore. A lui è affidato il compito di congiungere l’idealità con la prassi dell’arte, l’una come condizione dell’altra, eternamente e ciclicamente, come il bambino e l’adulto ritratti e come la sfera, senza inizio e senza fine.
—Sonia Zampini