Lydia Ourahmane conosce da sempre il movimento; la transitorietà è il modo in cui le è stato insegnato a vivere. L’artista ha sradicato e ricreato integralmente il proprio appartamento in affitto di Algeri, per essere “a casa” quando le frontiere si sono chiuse a causa della pandemia. Entrance (1901-2021) comprende due porte funzionanti. Sulla seconda strada dal mare, la porta originale in legno (1901) deriva dal progetto di un tipico appartamento parigino, poiché l’occupazione francese voleva che Algeri assomigliasse alla Francia. La seconda porta in metallo, con cinque serrature, è stata aggiunta negli anni Novanta, durante la guerra civile. Incarnando una fusione dei due momenti, l’ingresso leggermente socchiuso è un’invasione architettonica della fiducia collettiva che era stata costruita e poi di nuovo spezzata nella guerra d’indipendenza. La scrittrice e curatrice Negar Azimi l’ha descritta come una “scultura emozionante, un palinsesto di storie”. È carica di tensione psicologica: quando l’artista si sentiva assalita dalla paranoia, chiudeva più serrature per sentirsi al sicuro. Ora l’appartamento e i suoi oggetti “restituiti” sono tornati a essere utilizzati da amici. Liberarlo dall’ingresso originale, dice Ourahmane, è stato catartico.
L’opera di Lydia Ourahmane è esposta per la prima volta alla Biennale Arte.
—Khushi Nansi