Presentazione generale
Il progetto Archèus. Labirinto Mozart si fonda su una commistione di codici espressivi in cui la teatralità musicale del Flauto magico incontra le risorse estetiche del contemporaneo. In Archèus, i caratteri formali del linguaggio installativo (in primis l'immersione ambientale dei partecipanti e la loro attivazione cognitiva e percettiva) vengono esplorati in connessione dinamica con la Zauberflöte, la quale favorisce questa operazione da un lato per l'intrinseca natura multimediale dell'opera lirica, dall'altro per la sua stessa struttura narrativa fiabesco-sapienziale, che invita chi ne fruisce a condividere con i personaggi una sorta di rituale trasfigurazione.
Il Flauto magico si sviluppa come un viaggio iniziatico che viene percorso da Tamino (oltre che da Pamina e in grado diverso dall'aiutante Papageno). Il cammino si realizza come un transito dal buio alla luce, secondo una struttura narrativo/sapienziale in cui i personaggi passano da un'iniziale fiducia data al regno della notte, scambiato per la verità, fino alla conquista della saggezza solare, nella quale la notte è riconosciuta come forza che divide e annienta ed è sconfitta da un'unità di grado superiore. Avviene così un rovesciamento di prospettiva, sia in Tamino che nella percezione del pubblico. La Zauberflöte infatti chiede anche allo spettatore di prendere parte a una trasformazione, a un cambiamento del proprio pensiero.
L'installazione dialoga con l'opera di Mozart esattamente all'altezza di questi tre cardini: a) viaggio di iniziazione; b) rovesciamento delle prospettive; c) immersione dello spettatore nel percorso di trasformazione.
a) Il percorso di iniziazione prende avvio dall'oscurità di un ampio ingresso che si restringe fino alla strozzatura di una porta che conduce in un tunnel buio dove la vista si annulla e si amplifica l'ascolto, guidato solo dalla melodia del flauto di Tamino. Il cammino di scoperta e trasformazione dello sguardo si snoda attraverso cinque stanze, cinque stadi: 1) il trauma di un incontro con una sfinge che interrompe l'esperienza ordinaria per proiettare in una dimensione selvatica e ignota; 2) una stanza asettica da cui fuggire verso una nuova luce; 3) la lotta del cacciatore/cercatore con il corvo nero, custode dell'oro alchemico; 4) il passaggio verso un nuovo livello di conoscenza, in cui sparisce la scissione tra soggetto e oggetto: il cacciatore è preda, muore a se stesso per rinascere in una dimensione che buca gli orizzonti e i codici; 5) l'esperienza di un'integrazione raggiunta, in cui i corpi dei partecipanti si fanno raggio di luce, immersi nella radiazione calda di un Uovo cosmico.
b) Riguardo al rovesciamento di prospettive, nell'installazione questo movimento è portato all'estremo, agendo come dispositivo estetico che favorisce lo scaturire di un'esperienza rinnovata: il sopra finisce sotto; l'alto diventa basso; il piccolo si fa grande e il grande piccolo; il cacciatore viene cacciato; il contenente è anche il contenuto. In questo gioco si incarna principalmente la dimensione di Wunderkammer dell'installazione, cui si fa riferimento nel titolo.
c) Infine, lo spettatore. Egli è chiamato a farsi partecipante attivo. Sbalzato da subito nella posizione di Tamino, si trova ad attraversare il buio, a confrontarsi con l'enigma, ad attivare risorse cognitive ed emotive interagendo semioticamente con le spazialità in cui è immerso. Il percorso procede secondo vari momenti, scandendo i passaggi da una situazione iniziale nella quale lo spettatore è di fronte a un segno decisivo, fino alla conclusione in cui egli è immerso nel simbolo, respira in esso, nell'Uovo cosmico.
In ogni stanza è localizzata una sorgente sonora, in punti discreti ma significativi, che amplificano lo spazio percettivo. La musica utilizzata è la registrazione di brani tratti dal Flauto magico realizzato al Teatro La Fenice nel 2015 con la regia di Michieletto e la direzione musicale di Antonello Manacorda. Le arie scelte, dopo la melodia del flauto nel tunnel iniziale, indicano esse stesse la direzione di un viaggio, che va dalla voce furente della Regina della Notte alla dimensione corale raggiunta nella quarta stanza, con l'inno a Iside e Osiride.
All'uscita dalla stanza quarta, un ultimo tunnel oscuro, in cui tintinna il Glockenspiel di Papageno, in grado di trasfigurare e integrare l'oscurità in un gioco melodico infantile che prelude all'ultima stanza, in cui è diffusa la motilità vivace dell'Ouverture, ultimo rovesciamento per un nuovo inizio.
Infine, in Archèus il viaggio verso l'illuminazione è anche un percorso dell'illuminazione. Si potrebbe dire che per vari passaggi si procede dal lumen alla lux, ossia si parte da una luce che illumina un oggetto o lo spazio in modo astratto e freddo, per giungere all'ultima stanza, in cui una luminosità calda emana dal luogo e dai corpi ed emanando crea e vivifica.
Il nome Archèus è termine alchemico che indica il principio attivo e germinante che abita al cuore degli elementi e ne custodisce la vitale potenza di trasformazione. Archèus non richiama un passato sepolto, ma evoca una forza sempre presente e rigenerante, come la dimensione infantile che nell'uomo è contemporanea ad ogni sua età.