ROT
È giunto il momento d’incontrarci di nuovo e sederci fianco a fianco sulle poltrone rosse (tornate ad essere abitate da cuori appassionati e non più dal grigiore inerte delle sagome di cartone), davanti a questo sipario rosso, pronto ad aprirsi completamente per il tempo di uno spettacolo, sulla nostra collettività sì martoriata, ma pur sempre cosciente, combattiva e vigile.
Un Festival collisione di pensieri, di visioni e immaginari per abbandonare le proprie difese, lavorare insieme per la distruzione di certezze granitiche e crescere in consapevolezza, attestando la dignità e le infinite possibilità dell’Uomo.
Un Festival specchio, in vibrazione con il mondo, in ascolto dei cambiamenti delle nostre società, le cui missioni primarie saranno la Creazione e la Trasmissione.
Un Festival fabbrica di gesti e di parole, dove ispezioneremo al microscopio le nostre esistenze, i nostri eccessi, i nostri sogni, i nostri corpi.
Un Festival difensore dei diritti umani, leader di sinfonie poetiche, paladino della resistenza, produttore di diversità, inventore di opportunità, con semplicità, senza alcun lapillo teorico o puntello di ammaestramento.
Un Festival resistente e impermeabile al regno del cinismo, del catastrofismo cronico, per tracciare le linee e convalidare un futuro migliore spostando la traiettoria dello sguardo.
"Il cielo è blu solo per convenzione, ma rosso in realtà".
Alberto Giacometti
Partendo dal titolo dell’edizione del Festival, abbiamo pensato che la lingua tedesca fosse la più legittimata per raccontare il tema importante di questa edizione 2022:
ROT ha un suono duro, è un graffio, una lacerazione che racconta uno sforzo, è il rumore dei denti nello sforzo.
ROT è il rosso che acceca, la metamorfosi della passione, furia che avvampa, iconoclastia; è il sangue che irradia i nostri cuori o il marchio della violenza dei crimini perpetrati; è la sordità morale in nome di un dio personale, il calpestio della dignità, il grido di disperazione di fronte al seppellimento barbaro, ancora oggi, di concetti come pace e libertà.
ROT è l’anima immacolata, riflette il nostro château intérieur; è il linguaggio del perdono e delle emozioni; è il colore ancestrale dell’Eros, che accelera i battiti cardiaci, che fa impennare la pressione arteriosa rendendo la frequenza respiratoria sostenuta.
ROT non inteso come stop ma azione consapevole e resistenza militante; è la fiammanza di una lotta etica.
ROT si ribella alla superficialità, al gregge, ai falsi idoli, all’opportunismo.
ROT è l’animale malato, agonizzante, che esplode di magnificenza nel suo opporsi a tutto ciò.
ROT sei tu, il tuo corpo, ma te lo sei dimenticato.
Un corpo, quello di ROT, che ha necessità di strappare via la pelle per diventare strumento di auscultazione del mondo, verga radiestesica per esplorare gli organi dell’animale Terra, il grado di evoluzione dei suoi abitanti o le specie estinte senza rumore. I corpi di Christiane Jatahy setacciano il pianeta alla ricerca di impronte gemelle, quelli di Caden Manson/Big Art Group ansimano spasmodicamente accumulando per sfamare il vuoto; gli arti di Milo Rau, percossi e in solitudine si contrappongono a quelli nostalgici di Deflorian/Tagliarini; i corpi alterati dei Peeping Tom si placano nel sogno delle strutture metamorfizzate di Olmo Missaglia; la ricostruzione identitaria di Samira Elagoz conversa con gli uomini inorganici di Belova/Iacobelli; ed è Yana Ross a sancire l’identità propria di una superficie epidermica che si oppone alla battaglia dei sessi, attraversando l’impudico ipertrofismo delle ghiandole olfattive di Antoine Neufmars che trovano scampo riflesso nell’ugola fragile di Aine E. Nakamura.
Corpi, brandelli, organi, esposti in blister ormai senza remore: trattamenti medici per sedare quella balìa che ci vuole squatter di noi stessi, tornando proprietari di senso.
Le terapie ROT, inoltre, sono cure non farmacologiche consistenti nella rivitalizzazione degli interessi per gli stimoli ambientali, portando soggetti affetti da Alzheimer e veterani di guerra a relazionarsi con gli altri, prefiggendosi di ri-orientare il paziente confuso rispetto al tempo e alla propria storia.
Per la Biennale Teatro 2022 partiremo proprio da questo intervento riabilitativo, ROT, e dalle sue infinite variazioni per tracciare il filo dei nostri giorni, illuminare le scosse di un’umanità che sente il bisogno di inventare nuove forme di vita attraverso una trasfusione culturale.
Flussi sanguigni, correnti di rosso, estuari espressivi dove le Creazioni ospiti del Festival sconfineranno oltre le linee di demarcazione, presentandoci opere d’interferenza con una eterogeneità di linguaggi, tecniche, codici in dialogo con le urgenze del Presente. Non un solo teatro ma molti teatri possibili; in un travaso di senso tra una grammatica e l’altra.
Accostando partner di gioco inediti, abbasseremo i granitici ponti levatoi per instaurare scambi reali tra discipline (come la Danza, la Musica, le Arti Visive, l’Architettura e il Cinema); promuoveremo giovani talenti dando loro voce, visibilità e l’opportunità di sperimentare, realizzare creazioni originali con l’ausilio dei Bandi di Biennale College Teatro (per Registi Under 35, Autori Under 40 e Performer Under 40); e attraverso Tavole Rotonde e Masterclass – coadiuvati da un’equipe internazionale di studiosi, operatori, giornalisti, artisti e maîtres d’eccellenza – forniremo fluidi reattivi per navigare in apparati circolatori di nuove forme animali, ibridando arcipelaghi linguistici, gestuali, visivi, acustici e materici, e iniettando in vena oceani di globuli e piastrine per lasciar proliferare il Teatro di domani.
LATE HOUR SCRATCHING POETRY
Sono immagini apocalittiche quelle che rimbalzano dalle piattaforme di divulgazione; un paradosso parlare di comunicazione quando i segnali che vengono trasmessi appartengono alla sordità, all’ostinazione di chiusura, al solipsismo.
Dopo due anni di silenzi dettati dalla pandemia, una catastrofe che avrebbe dovuto restituirci se non altro una consapevolezza differente su quanto ci stavamo perdendo in termini di relazione con l’altro, le devastazioni della guerra in Ucraina, le firme delle bombe sulla Storia e sui volti di quelli che potremmo essere noi, raccontano la barbarie e la sconfitta definitiva dell’umanità.
Provare a raccontare il Teatro e la sua attività morale sembra assumere i contorni di un’aurea contraddizione di fronte a un pervicace restare ancorati nella propria disumanizzazione spacciata per comfort zone.
Una voce, quella di Alda Merini, i suoi testi di poetica quotidianità, un drappello di interpreti femminili a disegnare una costellazione notturna nella quale la parola diventa pendolo di evocazione e ricomposizione dei frammenti.
Un respiro altro, un appuntamento rinnovato ogni giorno al calar della sera, per ascoltare, scendere a patti con lo sguardo, congelare la visione oggettiva e, dietro le palpebre, lasciarsi andare ai bagliori che la poesia di Alda Merini riverbera dentro i nostri flussi arteriosi, ristrutturando le nostre esperienze individuali; un ecodoppler che smaschera la nostra innocenza archiviata.
Un progetto ambizioso, quello di LATE HOUR SCRATCHING POETRY, che vede – oltre alla mise en lecture di famosi opere in prosa di Alda Merini, uno tra tutte La pazza della porta accanto - la partecipazione di strutture e artiste riconosciute: ad aprire il viaggio nella parola universale un’eroina del nostro tempo, una donna/artista che infrange il consueto ritratto identitario per spazzarlo via con le sue asperità scevre da qualunque compiacimento; Asia Argento sarà la madrina d’apertura di questa avventura, con la voce, il cuore, gli arti che abbiamo visto fremere e ridisegnarsi in tanto cinema internazionale.
Per un progetto sì ardito viene sancita la collaborazione con una delle strutture di formazione più longeve e autorevoli del panorama teatrale: l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico sarà la musa che tesserà l’ordito di questa tela; a cominciare dall’artista che curerà interamente il progetto; Galatea Ranzi, una delle esponenti del teatro e cinema italiano più fulgide della sua generazione - nonché laureata presso il prestigioso istituto - costruirà questo viaggio a tappe serali, una per ogni giornata del Festival, scegliendo di farsi accompagnare ogni volta da una interprete diversa, uno stuolo di donne che saranno il teatro di domani, tutte congedate dallo stesso ateneo.
A siglare la chiusura del viaggio, nella serata conclusiva del Festival, sarà l’anima rarefatta di Sonia Bergamasco, interprete rigorosa e fibrillante dei palcoscenici del nostro tempo; a lei il compito di sancirne l’approdo.
“Ed essa Filosofia non solamente alberga (…) non pur nelli sapienti, ma eziandio,
come provato è di sopra in altro trattato, essa è dovunque alberga l’amore di quella”.
Dante Alighieri, Convivio.
Dentro questa città notturna femminile, tra interpreti e autrici, albergherà l’essenza maschile di Demetrio Castellucci, che con la sensibilità sonora sviluppata in ambito familiare e successivamente nutrita con le numerose esperienze professionali oltre i confini nazionali, traccerà un sentiero di evocazioni musicali che sospenderanno il tempo della parola, lasciando che il suono abiti quel corpo e viceversa - in aereo stupore - per poi lanciarsi in picchiata, una volta emesso l’ultimo fonema poetico fluorescente, verso una piattaforma DJ set, un banchetto dantesco che trasformi l’attonimento in convivio per recuperare quella dimensione dello stare insieme glorificando il nostro, reale, quotidiano. Lasciando che il femminile e maschile sfumino i contorni verso una parola-gender multiforme che tratteggi la volontà di pace, libertà e rispetto delle differenze altrui, patrimonio mai conquistato.