In scena un rituale, ritmo nei movimenti e nelle voci. Ci sono più performer in scena, approdiamo quindi in un territorio incontaminato.
Ci si piega troppo spesso con l’assurdo dietro, e si fanno i conti dei traumi passati. Così l’essere inferiore cerca conforto nell’impegno civile. E con la morte altrui ritorna l’amor proprio. Tra balli, feste orientali e lutti premeditati ci si libera della solidarietà, pratica aziendale che genera profitto. Anche la cultura con gli occhiali piega il culo. Chi legge un libro è costretto a stare zitto da chi scrive, chi legge compra il suo silenzio, chi compra un libro fomenta e capovolge l’omertà. Ma con la mamma biologica la partita è persa: pelle della sua pelle ma fine della tua.
Il potente si costruisce lo spazio da solo e gli altri lo stanno a guardare... fino a quando non si possono più muovere. La ricerca vocale è indirizzata su un apparente mono tono, lo scavo è interiore, la carotide respira perché si affranca dal falsetto che corrode. Ma in agguato c’è la logorrea che allunga la vocale e tira la corda prima ancora di spezzarla: indiscutibile leggerezza che occulta la parola interiore, quella che brutalizza le budella. Fino a portare la voce sott’acqua, disegno politico dove ha fallito anche Dio, perché la parola di Dio dentro l’acqua si ammolla, diventa una pappetta, declassa a cartastraccia. Addio terza dimensione, l’equilibrio è precario, esplode il luogo comune, un muro, un monitor dove emergere, per reinventarsi. L’Anelante nascosto tra le muraglie è disposto a sostenere la gerarchia di sempre con i sistemi virtuali di cui si è impadronito; senza sporgersi, pretende di conoscere il mondo.
Sono presenti, oltre ad Antonio Rezza, Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo di Norscia. Assistente alla creazione è Massimo Camilli, il disegno luci è di Mattia Vigo rielaborato da Daria Grispino.