Carolina Balucani
Addormentate
Vincitore del bando Biennale College Teatro 2022 per la Drammaturgia, Addormentate, scritto da Carolina Balucani, è il testo che vibra più di altri delle sollecitazioni suggerite per l’edizione di questo 50esimo festival, ROT: il rosso dell’azione, intesa come consapevolezza di una chiamata collettiva.
Quali sono i confini del proprio corpo? Quali i lasciapassare per attraversare tali perimetri; quali gli sforzi per andare verso l’esterno e a quale scopo?
Nel frammento presentato il titolo stesso preannuncia una letargia, una percezione alterata, uno stato onirico entro il quale l’Ignoto rende concreto un bisogno inappellabile: entrare in contatto con qualcuno, essere bucati dall’Altro da noi e in questo sconfinamento ritrovarci rinnovati.
La sindrome della Bella Addormentata, o sindrome della Rassegnazione è una riduzione della coscienza.
Un allontanamento progressivo dal mondo. Come a lenire le sofferenze; chiudendo gli occhi, abbandonando la veglia morale, ci si può illudersi di fuggire dal dolore. Una via di fuga, una lacerazione dell’anima.
Il ritmo, la concitazione, l’eloquio stretto, franto, ripetuto a più voci è l’apparato muscolare di questa nuova drammaturgia che utilizza le parole come organi umani: vocali polmone, consonanti ugola sembrano delineare la figura di una nuova creatura mitologica, una Chimera ombra che vive nel Sottosopra, o forse semplicemente nello specchio del mattino.
La ferita inflitta da questo mostro e riconosciuta da noi umani è proprio quella di sentirsi isolati, non toccati dagli altri, spenti e protetti nelle proprie individualistiche certezze.
L’incipit del testo, il termine di una festa consumata in un campo d’erba identificano un bosco e le luci di un affievolirsi vitale nostalgico.
Voci, non personaggi, indicate da lettere alfabetiche, e una nota sulle pause temporali lanciano il primo tratto distintivo drammaturgico: quattro appelli universali, quattro apparenti abdicazioni dal fiato contratto introducono a questo viaggio al termine della notte.
Emerge un coro, a indicarci i principi di una tragedia classica. Le voci, insieme alla collettività del coro riproducono l’Umanità tutta, che difatti appare segnata da un marchio ancestrale, una ferita rossa sulla mano che attesta cosa? L’essere in vita o il segno di un tradimento a noi stessi, ad occhi che non vogliono ascoltare, braccia che non vogliono soccorrere?
Nonostante la lacerazione viva, le voci continuano a piroettare, a sognare del passato, ad ipotizzare un futuro attingendo ai ricordi anche spiacevoli di una costruzione identitaria.
In questa continua conversazione spezzata, interrotta, ripresa, in questo respiro mozzo che è anche il nostro, in questo riafferrare il timone di un Sé sognato è la capacità dell’autrice di mostrarci quella zona liminale dove poter riedificare le nostre schiene morali.
Come siamo arrivati a travestirci tutti da Belle Addormentate e quale tipo di azzurro, principe o meno, attendiamo per ritornare desti? Forse facendo nostra la pena degli altri, inviduando l’oltraggio recato a terzi come una lesione indissolubilmente aperta sulla nostra pelle?
Raccontando di sogni/diritti/rispetto, in una prosa dagli echi beckettiani e con un uso che è veicolo di sopraffazione e ambiguità polisemica alla Sarah Kane, Carolina Balucani articola la prima cordata di un impianto drammaturgico e di una lingua con possibilità di significato radicali, deframmentando il corpo interpretativo, restituendo la nostra capacità di influenzare ciò che vive intorno a noi ed esserne, a nostra volta, mutati; in un azzeramento di dualismi perimetranti e disegnando un auspicabile Noi concreto e in ascolto.