In dipinti, disegni e installazioni, la pratica di Christina Quarles si confronta con i limiti della leggibilità e del linguaggio nella complessa politica dei corpi, caratterizzati da razza, genere, sessualità e identità. I dipinti di Quarles raffigurano una sovrabbondanza di gesti attraverso pigmentazioni dissonanti costituite da colature, linee, sbavature e abrasioni. Grazie alla sua formazione come graphic designer, l’artista abbina gli effetti fortuiti del dripping e dei rapidi colpi di pennello, apparentemente improvvisati, a tecniche di manipolazione digitale e stencil tagliati al laser. I corpi sinuosi si contorcono evocando un senso di intimità e fluidità, di esistenze intercambiabili che rappresentano l’impossibilità di delineare individui. È quanto avviene nell’intreccio di corpi in Hangin’ There, Baby (2021), nella frenetica tavolozza di Gone on Too Long (2021) o nelle figure che si strattonano, respingono e calpestano in Just a Lil’ Longer (2021). Piani geometrici e architetture che alludono ad ambienti domestici, come la tenda in (Who Could Say) We’re Not Jus’ as We Were (2021), centrano nello spazio forme prive di profondità, incorniciando figure allampanate. In Had a Gud Time Now (Who Could Say) (2021), le estremità dei soggetti trafiggono, affondano ed emergono su un piano rappresentato da una tovaglia a quadretti. Spingendosi contro il limite della cornice quasi a superarla, questi corpi suggeriscono una fisicità alternativa definita dall’ambiguità.
Liv Cuniberti