Nata in America e cresciuta a Roma, Florence Henri si trasferisce a Berlino appena ventenne. Qui, affascinata dal modello femminista della Neue Frau (Donna nuova) diffuso nel dopoguerra, costruisce la propria immagine in maniera ibrida e sfaccettata. Come tante artiste della sua generazione, Henri gioca con i propri tratti fisionomici per raggiungere un’identità fluida: nelle sue fotografie, il corpo è un assemblage di segni che, come nelle composizioni astratte della prima formazione pittorica, possono essere smontati e rimontati, svelati e mascherati. Più che alle avanguardie storiche, questi scatti in bianco e nero si ricollegano al Neue Sehen (Nuova Visione). Fondata intorno al 1927 da László Moholy-Nagy, nello stesso periodo in cui l’artista frequenta i corsi estivi alla Bauhaus, la tendenza promuove uno sguardo fotografico caratterizzato da un forte sviluppo compositivo e da una sensibilità surrealista. In uno dei suoi autoritratti, Autoportrait (1928), probabilmente il più famoso, l’immagine di Henri si riflette su uno specchio verticale alla cui base sono poggiate due sfere metalliche: con le braccia conserte che poggiano su un tavolo in legno e il volto incorniciato da una pettinatura maschile, l’artista contempla la sua figura con uno sguardo quasi rassegnato all’idea di dover fare i conti con il proprio aspetto. Nonostante Henri abbia sempre rifiutato qualsiasi concettualizzazione delle sue fotografie, questo iconico ritratto sembra essere la rappresentazione di una femminilità complessa, ibrida e molto diffusa nella società postbellica, che l’artista ha conosciuto nel corso dei tanti soggiorni europei.
Stefano Mudu