I terroristi dell’ISIS hanno sparato tre volte al colonnello Rayyan, uno dei due comandanti della squadra speciale di Nineveh. Hanno ucciso due dei suoi fratelli, ne hanno rapito un terzo, ucciso i suoi cognati, bombardato la casa di suo padre e sparato a sua sorella durante la sua festa di fidanzamento. Ognuno dei suoi uomini ha una storia simile. Eppure non hanno smesso di combattere una sola volta in cinque anni. In quanto cittadino di un Paese che è stato in guerra con l’Iraq sin da quando ero bambino, mi imbarazza dire che, fino a quando non ho letto l’articolo del New Yorker, The Desperate Battle to Destroy ISIS, su cui si basa il film, non avevo mai pensato all’esistenza di persone come quelle della squadra speciale di Nineveh: uomini che combattono senza sosta, nelle condizioni più infernali, sacrificandosi affinché qualcuno possa recuperare la propria casa e famiglia alla fine di questo incubo. Non avevo neppure finito l’articolo quando chiamai Joe e Anthony Russo per chiedere loro se potevo non solo scrivere l’adattamento per il film, ma anche dirigerlo. Mentre stavano digerendo questa richiesta vagamente ridicola, dal momento che non avevo mai diretto niente, mi spinsi oltre dicendo che l’unico modo in cui vedevo possibile la realizzazione del film era con un cast arabo che parlasse arabo. Quando non riattaccarono, capii di aver incontrato due rare persone che vedevano questo articolo e questa opportunità allo stesso modo in cui li vedevo io: potevamo ispirare lo stesso tipo di reazione che tutti avevamo avuto leggendo questo materiale, raccontando in un film l’orribile ma affascinante storia di questi uomini, nella loro lingua, con attori provenienti dalla loro parte del mondo. Penso che l’abbiamo fatto. E ne sono fiero.