La luce dei proiettori
“Il più lento di oggi / sarà il più veloce di domani
così come il presente/ sarà presto passato (…)
perché i tempi stanno cambiando.”
Bob Dylan, The Times They are a-Changing
Come in un ennesimo e deprecabile remake del film Ricomincio da capo, la pandemia che credevamo debellata dal tempo e dai vaccini sembra ripresentarsi a ondate periodiche, dissimulate sotto mentite spoglie (le varianti), e inanellate l’una all’altra a formare una catena che resiste ai nostri sforzi e desideri di vederla finire. Nelle previsioni di tutti, l’autunno 2021 dovrebbe essere il momento della tanto desiderata ripartenza, più volte rinviata tra lo sconcerto generale. Non ne siamo più così sicuri, pur se ci sostiene una grande fiducia nella scienza e nella capacità umana di reagire anche alle peggiori disgrazie. Da qui la decisione di realizzare in presenza e con ancora maggior convinzione dell’annus horribilis che ci ha preceduto, la prossima Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, declinando la 78ma edizione che precede di un solo anno la celebrazione del novantesimo anniversario della sua nascita, che risale all’agosto 1932. Lo faremo all’insegna, ancora una volta, di una calcolata prudenza, affrettandoci lentamente, come suggeriva il sommo imperatore Augusto. Cioè, senza indugi, ma con cautela. E senza perderci d’animo, secondo la chiosa del poeta Nicolas Boileau. Consapevoli della responsabilità che ci attende e delle aspettative di tanti riposte sul primo festival destinato ad aprire la nuova stagione di quel calendario non scritto che scandisce la vita dei cinematografari (detto senza la sfumatura spregiativa che talvolta accompagna l’uso del termine).
Alle nostre spalle, premono per tornare a vedere la luce dei proiettori i film di due stagioni: quelli terminati poco prima o durante il confinamento della primavera 2020, e quelli che hanno trovato la forza e il coraggio per essere realizzati durante il secondo, inatteso (e assai più lungo) periodo di lockdown. Molto numerosi - più del consueto: come se la pandemia fosse servita a stimolare la creatività e far salire il livello della qualità - quelli che avevano le carte in regola per aspirare a un posto nel nostro limitato programma, e molti quelli che non sono riusciti a entrarvi per assoluta mancanza di spazio. Ancora più del solito, la configurazione assunta dalla formazione di questa edizione (perdonate la metafora calcistica, nell’anno dell’Europeo vinto meritatamente dall’Italia) corrisponde alla vocazione di dar voce alla moltitudine di prospettive, generi e aree cinematografiche che da sempre caratterizza il programma della Mostra. Poche le assenze di rilievo (la Cina forse, che però è presente con due corti e alcune coproduzioni – senza contare che c’è pur sempre un film da Taiwan), mentre il resto dei continenti è ben rappresentato.