Dora Budor si è formata come architetto a Zagabria, sua città natale ma, nelle sue opere d’arte immersive, ha usato il linguaggio di un’architettura “minore” che, invece di realizzare edifici, si impegna in una loro demolizione selettiva. Negli interventi e nelle installazioni site-specific lo spazio si anima generando un effetto di disorientamento. Descrivendo le proprie attività nel contesto della costruzione del mondo – procedimento mediante il quale si creano nuove realtà e finzioni riciclando ciò che già esiste – Budor suggerisce una lotta in favore della totalità dell’immaginazione. Per Il latte dei sogni, l’artista presenta Autophones (2022), sculture risonanti in cui sono integrati dei vibratori, che infondono di un’energia libidinale invisibile le forme associate alla potenza industriale. Realizzati in collaborazione con un laboratorio di costruzione di strumenti musicali, gli idiofoni di Autophones sono ricavati da un legno selezionato per le specifiche proprietà acustiche, con alloggiamenti ripresi da stampi tradizionalmente usati nei macchinari industriali, come il martello pneumatico del XX secolo, ora inattivo, visibile all’interno dello stesso spazio espositivo. Con un rimando alla storia dell’Arsenale, che un tempo ospitava i cantieri navali e la fabbrica d’armi della Serenissima, l’opera instaura collegamenti incrociati tra produzione industriale, privatizzazione del piacere e controllo biopolitico.
Madeline Weisburg