Mary Wigman è la figura più rappresentativa dell’Ausdruckstanz, la danza espressionista tedesca che all’alba del Novecento rivoluziona la scena coreutica decostruendo il formalismo del balletto classico. Il suo approccio al movimento, affinato in anni di pratica al fianco del celebre maestro e teorico Rudolf Laban, coincide con una gestualità in grado di veicolare le pulsioni emotive dell’interprete. Fin dal debutto con Hexentanz (1914), i suoi spettacoli puntano alla più pura asciuttezza formale: il palcoscenico è spesso vuoto, abitato dalla sola figura della danzatrice con i piedi scalzi e costumi essenziali. Nell’unico filmato che rimane di una performance del 1930 in cui interpreta la sua iconica danza, ad esempio, Wigman sembra muoversi in uno stato di trance e incarnare una donna-strega impegnata a sfogare la sua componente istintiva. Assecondando un ritmo musicale fatto di percussioni intermittenti, la danzatrice è seduta a terra mentre si aggrappa a una materia invisibile. Il suo volto è occultato da una maschera e le sinuosità del suo corpo sono coperte da una lunga tunica in broccato. Oltre a celebrare le potenzialità del corpo, gli spettacoli di Wigman diventano gli strumenti per raccontare le urgenze della modernità: il ruolo sociale della donna, o le posizioni politiche del nazionalismo tedesco. Come molte danzatrici della sua generazione, Wigman racconta una figura femminile indipendente e consapevole del proprio potere perturbante.
Stefano Mudu